Terzine e duine

A cura di Renata Mallia

Ribaltiamo certi ritmi, oggi caduti in disuso, ma esplosi negli anni ‘60

Stavolta proverò a riabilitare i ritmi, terzine (es. Come prima) e duine (es.Tu sei l’orizzonte) cadute in disuso da tempo immemore e lo farò usando una delle mie solite teorizzazioni sul tema. Per esempio: io penso che la crisi della vendita dei dischi dipenda da molte ragioni, una delle quali – teoricamente (ma mica tanto) – può anche esser quella di aver abbandonato le cadenze terzine e duine. Perché – guarda caso – quando ancora queste non si usavano (prima dei Platters), non esisteva un mercato discografico importante e le canzoni registrate su dischi servivano più che altro ad essere trasmesse in radio. Le loro ritmiche andavano – su per giù – dai classici slow alle béguine e qualche samba. Quando si voleva esagerare in modernità c’era la Rumba/Rock. Il tutto realizzato con arrangiamenti mastodontici, da grandi orchestre. Ovviamente, a questa affermazione non c’è controprova. Successivamente – verso la fine degli anni ’50 – il boom delle vendite ha coinciso con l’arrivo e l’imperversare di queste facili cadenze, le quali parvero plasmarsi in maniera assolutamente credibile anche alla nostra lingua italiana, morbida, piana e bisognosa di spazi larghi – possibilmente senza accenti sincopati – per essere espressa al meglio, e finalmente fummo in tanti – attraverso piccoli gruppi (complessini) – a potercisi dedicare. Grazie a questa possibilità, ebbero l’opportunità di nascere autori e cantautori, che proprio in quel periodo – anche facilitati dal boom economico e soprattutto dall’avvento dei quarantacinque giri in vinile – gettarono le basi per l’avvento di una via italiana, che fosse l’inizio di una tradizione per la nostra nuova musica leggera, rinnovatrice – ma a livello nazionale – delle straordinarie canzoni napoletane o arie operistiche, che fin lì ci avevano rappresentato nel mondo. In seguito (dagli anni ’70 in poi) la loro sparizione totale e l’avvento di generi dalle ritmiche e dai temi più sofisticati (non di massa quindi), difficili da riprodurre in canzoni più plebee (da cantare o da ballare), videro la nascita di nuovi autori, i quali smisero l’uso del linguaggio diretto e presero – affrettandosi a cavalcare una tigre ideologica che iniziava a galoppare in quel periodo – ad assecondare il gioco condotto da una certa intellighenzia di potere, la quale privilegiava in tutti gli aspetti promozionali, solo canzoni cosiddette impegnate. Seguiterò a raccontarvi il resto della mia ipotesi nel prossimo numero.

RadiocorriereTV n° 25   20/6/00