di Don Backy
Quante corde dell’animo fa vibrare una canzone? Ecco il terzo ed ultimo capitolo
Fine della mia dissertazione sul Cantautore. Ovviamente ognuno avrà le sue idee in proposito, ma credo che il mio ragionamento possa essere condiviso, e – al di là di questo – andate tranquilli per la vostra strada ugualmente. Ero rimasto ai cantautori che io chiamo dell’arcobaleno, pieni cioè di tutti i colori, i sapori, gli odori che necessitano all’animo umano per godere di vibrazioni emozionali. Quando è che questo benedetto termine ha preso ad assumere un significato più di parte? Ecco come la penso ancora. Verso la fine degli anni ’60, alcuni artisti – che ci avevano disperatamente provato in qualità di cantanti e autori, senza peraltro riuscire a convincere il pubblico in maniera determinante – annusata l’aria che cominciava a soffiare, saltarono in groppa alla tigre della contestazione ( che iniziava la sua corsa su binari tracciati da Bob Dylan nella musica e da Cohen Benedith sulle barricate parigine). Si posero nella veste di vessilliferi di una protesta giovanile, ben irreggimentata da una precisa parte politica, la quale prese a usarli – accreditandoli – onde poter colonizzare il settore della musica leggera popolare, formato – fino ad allora – da una popolazione eterogenea, comprendente – peraltro – una altissima percentuale di ragazzi di tutti i ceti. In cambio questi sedicenti cantautori di protesta ottennero protezione/promozione/copertura. Patto conveniente, perché permise loro di poter sputare in qualsiasi direzione, avendo sempre il vento a favore, dal momento che la maggioranza politica al potere in quel momento aveva tutto l’interesse a far loro gli occhi dolci, accontentando così i loro editori di riferimento (della serie: Ama la nuora perché suocera goda). I giovani – si sa – hanno il cervello paragonabile a una spugna vergine (o- con un linguaggio più attuale – a un computer, nel quale ancora non siano state immesse tutte le informazioni formative). Indottrinati loro – grazie allo specchietto accreditato di questi santoni dell’impegno – il futuro politico (e musicale), sarebbe stato garantito. Così fu. L’atteggiamento demagogico di loro signori sarà sempre quello di chi la canta al potere (qualsiasi potere). Scaglieranno invettive moraleggianti verso la società capitalistica e consumistica, la quale non fa nulla per risolvere il problema della fame nel mondo. Nel frattempo, continueranno ad accumulare capitali da sceicchi, tra contratti discografici opulenti, royalties miliardarie e diritti d’autore, che – sovente – basterebbero per azzerare i debiti se non proprio di una nazione terzomondista, quanto meno di buona parte della sua popolazione. Così, cantautori impegnati che hanno scritto versi eterni del tipo: “Voglio una donna, donna, donna / con la gonna, gonna, gonna /”si ritrovarono innalzati sugli altari dell’impegno sociale e parteciparono con tutti gli onori e i meriti al Premio Tenco.
RadiocorriereTV n° 51 19/12/00