di Don Backy
Anche da una sensazione angosciante può nascere una canzone La settimana scorsa ho promesso che vi avrei raccontato la nascita di una mia canzone. Lo faccio quindi narrandovi questo episodio realmente accaduto. A pochi giorni dalla scadenza della presentazione dei brani per il Festival di Sanremo, ero ridotto al lumicino e ormai convinto di aver perso la mia battaglia, non essendo stato capace di elaborare alcunché da potersi ritenere valido. Rivolgermi alla produzione di qualche altro autore – pur di non perdere l’opportunità – non volevo e non potevo. Che razza di cantautore ero? E poi c’era sempre di mezzo la promessa fatta a me stesso che dopo L’amore – brano la cui scrittura mi aveva rivelato il terzo dei tre elementi occorrenti per scrivere una canzone ( ve ne parlerò) – non avrei mai più cantato ( per i miei convincimenti) canzoni scritte da altri, o in collaborazione (così è poi stato). Accadde che una notte/alba – un pò prima delle cinque – tornando a Milano dopo un concerto tenuto a Sondrio con i miei Fuggiaschi, notai – attraversando la città – l’assoluta mancanza di qualsiasi presenza, persona o animale, un mezzo pubblico, un’automobile. Presi allora a fantasticare sulla sensazione un pò angosciante di essere rimasto l’unico uomo al mondo, cosicché quando arrivai a casa – sotto un diluvio – mi ritrovai bagnato fradicio e con la stessa sensazione nel cuore. Sentii comunque che qualcosa di magico era nell’aria. Gli occhi mi bruciavano, ma la tenacia per il desiderio di spuntarla non mi abbandonò. Aprii la finestra per consentire al fumo delle sigarette di uscire. L’aria fresca mi tonificò e gli occhi smisero di bruciarmi. L’acqua continuava a scrosciare:” Ma guarda un pò…se almeno per ogni goccia nascesse un fiore, sarebbe un mondo coperto di fiori… solo, ma in mezzo ai fiori” – pensai. La visione era di quelle giuste. Un foglio, una matita….la mia chitarra era lì…Non mi ci volle molto a descrivere l’amore come lo sentii in quel momento, incontenibile e quindi impossibile da rinchiudere nello strettamente individuale – circoscritto cioè in labbra da baciare, capelli da accarezzare e via dicendo – ma qualcosa di universalmente valido. Qualcosa che avrebbe tolto ai sentimenti le barriere e i limiti spazio/temporali. Una canzone che esprimesse la certezza di una mano sempre pronta a stringere la nostra. Qualche attimo d’attesa e poi – in mezzo alla pagina – scrissi il titolo. Un quarto d’ora più tardi era nata, L’immensità. RadiocorriereTV n° 44 31/10/00