di Don Backy
Gaber così com’era, sulle tracce di un ricordo lontano lontano
Assorbite e – fatte intime – le giuste emozioni e attestati e riconoscimenti, che la scomparsa di Giorgio Gaber ha sollevato sia in chi lo conosceva, sia in chi lo ha amato – anche senza mai aver avuto il piacere di conoscerlo personalmente – voglio dire qualcosa anche io riguardo a questo artista. Lo faccio perché ho una specie di dovere verso il pubblico che (spero) si appresterà ad ascoltare il mio nuovo Cd Signori si nasce ed io lo nacqui, prossimamente in uscita. Parto quindi dall’inizio di questa storia. Non ero particolarmente amico di Giorgio – se per amico si intende avere con l’altro una frequentazione, scambi di idee, segreti da condividere, ecc. Un fatto però mi legava a lui, un fatto che affonda le radici in un passato ormai lontanissimo, il quale – al di là delle occasionali volte che ci siamo incontrati durante varie occasioni – porto ancora oggi nel cuore come uno dei ricordi più belli da me vissuti. Era il 1961 e io, da dilettante – col nome d’arte di Agaton – ero stato scritturato assieme al mio complesso i Delfini, per fare la stagione estiva neo locale ‘il Pirata’ di Marina di Massa. Nel mio repertorio figuravano diverse canzoni di Gaber (era il mio preferito, anche per una certa affinità vocale nei bassi, che forzavo proprio per quel motivo) e – tra queste – Geneviève, Non arrossire (da me incisa a Torino nel 1960 a due voci – con il mio chitarrista Alberto Senesi, alla maniera degli Everly brothers – su un disco che mi ero pagato), La ballata del Cerutti, ed altre. Il 16 agosto, Giorgio venne proprio al Pirata – per tenerci un concerto. Ricordo che si presentò da solo (allora non c’erano i “gorilla” a cacciar via gli ammiratori). con la chitarra a tracolla e l’aria timida di chi non ha ancora fatto l’abitudine a ‘sentirsi qualcuno’ . Entrò nel locale proprio mentre io stavo cantando una canzone, La storia di Frankie Ballan, che – prima tra tante – avevo anche scritto (e che in seguito sarebbe stata il mio passe-partout per il successo). Salì sul palco e – tra gli applausi della folla – ci stringemmo la mano conoscendoci. A me sembrava di sognare e ancor più mi emozionai, quando lui – con il fare più naturale del mondo – mi chiese – ancora con le mani strette: ” Senti un pò, di chi è quella canzone che stavi cantando adesso?”. Io sobbalzai leggermente, bevvi un sorso della mia Coca Cola che stazionava sul pianoforte – per prendere tempo e poi risposi, con la voce che gorgogliava: ” E’ mia… l’ho scritta io… Qualche giorno fa ci ho vinto una gara tra orchestre del litorale”. Lui – col solito fare naturale – mi rispose: ” Se ti interessa, alla fine dell’estate scrivimi a Milano, cercherò di fare qualcosa per te alla Ricordi”. Rammento ancora il sobbalzo che mi ebbe il cuore, mentre bofonchiavo un grazie. Lo accompagnammo nel suo repertorio e – se a quel punto di emozioni me ne erano rimaste poche – un’ultima riuscii a scovarla cantando a due voci, insieme a lui, Una fetta di limone. Ci scrivemmo in seguito (conservo tutte le sue lettere) e andai alla Ricordi. Le cose però, andarono diversamente e io – grazie a quella mia canzone – fui poi scritturato per il Clan Celentano. Segue….
RadiocorriereTV n° 4 28/01/03