I ragazzi degli anni ’60

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Una ventata fresca può arrivare anche da molto lontano. Riflettiamoci su

Parlavo la volta scorsa, dell’errore fondamentale che facciamo noi ragazzi dei ’60, confondendo in un’unica massa, tutto il variegatissimo mondo giovanile, ammucchiandolo in una sola torta che – sbagliando – definiamo “I giovani”, senza considerare le multiformi differenze che li contraddistinguono. Di questa enorme torta, segnaliamo solo i difetti per cui, il paragone – che solitamente facciamo (tra il loro e il nostro modo di essere stati ragazzi), fa volgere inevitabilmente il confronto, a nostro favore. Secondo me, manchiamo di fare certe opportune considerazioni, perché le differenze tra noi e loro non sono poi così nette. Intanto fingiamo – o veramente non ricordiamo (e se invece ricordiamo tendiamo a dire che erano colpe decisamente più blande) – che le stesse osservazioni negative su di noi , le facevano i nostri genitori. Non eravamo forse noi la Gioventù bruciata di allora? Non ascoltavamo il Rock and roll, che dalla Chiesa – grazie alle esasperazioni sonore (i primi amplificatori per le prime chitarre e bassi elettriche) ai movimenti indiavolati di alcuni esponenti del genere – era considerata addirittura la musica del demonio? Non indossavamo i blue jeans, invisi ai grandi, se non addirittura proibiti? Certo, il nostro modo di ciondolare perdendo tempo davanti a un juke box, era attenuato da un vocabolo simpatico, coniato da Fellini e alzato agli onori della cronaca da un suo grande film: I Vitelloni. Ma la sostanza non era un pò la stessa? Non volevamo dare noi l’immagine di un menefreghismo assoluto nei confronti della cosiddetta società? Non ci sentivamo orgogliosi di essere additati come incompresi, lamentandoci poi che i primi a non comprendere il mondo che cambiava, erano proprio i nostri genitori? E cosa c’è di mutato con l’oggi se non la nostra prosopopea, usando la quale vorremmo far vivere i nostri ragazzi come abbiamo vissuto noi, se non addirittura essere da loro compresi in questo nostro desiderio? E mi pesa un pò fare questi discorsi. Anche io – in maniera piuttosto sbrigativa- tendo a classificare i giovani (accomunandoli come un’unica entità: quindi sbagliando), come esseri vuoti e senza gli ideali, le aspirazioni, i sogni che avevamo noi, di sentirci amici e non antagonisti. Purtroppo nei nostri discorsi attuali nei confronti dei ragazzi d’oggi – un pò demagogici – non consideriamo mai la velocizzazione del tempo, tanto meno cerchiamo di fare dei paralleli con le conquiste che ci riguardano e che erano considerate negative. Pertanto ritengo il nostro ciondolare da vitelloni di allora, paragonabile alla ciondoleria messa in mostra oggi da questa nuova Gioventù, anche se non bruciata dal Rock and roll, ma dal computer.

.RadiocorriereTV n° 16 17/4/01