Giudizi inutili

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Altri motivi sulla vacuità dei criteri di selezione al Festival di Sanremo

Ho chiuso la puntata scorsa con l’intento di rispondere alla mia stessa domanda, tendente a dimostrare quanto sia assolutamente inutile e immotivato, il ricorso a una commissione giudicante le canzoni che vengono presentate per l’ammissione al Festival di Sanremo. Ho già avuto modo di dire – proprio su queste pagine – di quanto sia assurdo dare giudizi su una canzone (attenendo questa alla sfera dei gusti più personali). A maggio ragione, ritengo sia assurdo darne su quelle inviate alla suddetta manifestazione. Vi spiego perché: la mia canzone (l’avrei cantata con Milva, come detto), si intitola Se io fossi amore. Parla di un amore ‘maturo’, vero, ed è stata eseguita magnificamente (credo di avere le carte in regola per poterlo affermare), da due artisti che la vita l’hanno vissuta e quindi capaci di offrire emozioni adulte, sofferte e non la solita cottarella tra finti adolescenti (prima o poi la inserirò in un Cd al quale sto lavorando adesso). Lei – un’artista di fama internazionale- con una voce carica ancora del giusto pathos per ben eseguire i concetti da me espressi nel brano, ben contrapposta alla mia, anch’essa carica – se non altro – della sensibilità di chi l’ha scritta. Dunque: pur salvando le capacità di valutazione dell’individuo componente la ‘commissione giudicatrice’, perché – i succitati – devono avere la potentissima chance di decidere la bontà dei brani che dovranno essere ammessi in gara? A parte il fatto che anche maestri o autori di chiara fama, non potrebbero arrogarsi il diritto di giudicare la bontà di una canzone – se non da un personalissimo punto di vista – è così cieca l’industria discografica (più di quanto sia colpevole) da non subodorare il pericolo che si cela nella rinuncia a voler essere arbitra del proprio destino? Da questo ibrido non è possibile uscire, se non accettando lo status quo – che attua oggi chi rappresenta il potere (leggi: rete televisiva) – oppure mediante una netta separazione di competenze. Di qui, l’esigenza che mandare un brano al Festival debba essere la decisione presa all’interno della stessa casa discografica, la quale – discussi e approvati i suoi piani – operi la scelta delle canzoni, in base ai suoi interessi artistici e commerciali. Si potrebbe avere finalmente un festival rappresentante tutti i gusti, che desse spazio anche ad artisti così penalizzati da una logica aberrante, che tiene conto (per alcuni) dell’età o dell’aspetto fisico (come se un professionista – superata una certa età – dovesse di colpo cambiare mestiere o accontentarsi di essere ghettizzato in tutto un mondo di serie B, senza più avere l’opportunità di esprimere se stesso e la sua creatività 9 e dare infine soddisfazione al pubblico in generale e non solo al pubblico ‘giovane’ – fruitore del festival, in bassissima quota e solo quando ci sono artisti stranieri di suo gradimento ( che peraltro cantano in playback), pubblico che potrebbe rivedere e riascoltare in , gara, artisti vantanti – se Dio vuole – ancora pieni diritti in questa repubblica, soprattutto se i discografici di questi artisti professionisti – unici giudici plausibili – avessero deciso in tal senso. E non finisce qui. 

RadiocorriereTV n° 9  5/03/02