di Don Backy
Il paroliere, figura determinante per il successo di una canzone
Dalla scorsa puntata, ho voluto iniziare un discorso tendente a sottolineare la figura del paroliere (inteso come colui che scrive i testi delle canzoni, la cui esatta definizione è: autore) e – così come ho tentato di far conoscere la figura dell’arrangiatore (orchestratore) – ora voglio parlarvi di questo professionista, che io giudico determinante ai fini del successo di una canzone.Voglio farlo, perché in questi tempi di scarsissime abilità artistiche e di moltissime bontà fisiche – offerte da fanciulle favolosamente dotate da madre natura, parcheggiate in salotti televisivi, intente a mostrare abbondantemente la loro industria e qualche volta anche tutta la ‘mercanzia’ disponibile (abbiamo infatti il parco ‘attrici non recitanti’ più ampio del mondo…) – dove basta rinchiudersi in una stanza per un po’ di tempo, per uscirne ‘personaggio’ ambito, conteso e super pagato, senza riuscire a capire i meriti o le peculiarità dell’individuo in questione, ma tutti obnubilati dalla immagine che di esso ci viene proiettata – (cosa che ha portato l’ambiente artistico in Italia a livelli veramente infimi), vorrei andare a pescare almeno un paio di personaggi assolutamente sconosciuti ai più, ma che – con il loro determinante apporto – hanno contribuito al successo di artisti (in questo caso veri), che ancora oggi sono molto amati, Il primo di questi personaggi, non è che lo conosca poi molto. C’è stato un tempo – una ventina d’anni fa circa – in cui sono stato a casa sua con il mio amico Gino Santercole, ma dovessi dire precisamente a quale proposito, direi una bugia. Forse era un progetto televisivo che avevamo pensato di elaborare insieme, oppure qualcos’altro, non ricordo. So soltanto che fui felicissimo di andare a trovarlo nella sua casa romana sulla Cassia, soprattutto per avere il piacere di conoscere uno dei grandi parolieri – al quale veramente sono state tributate poche attenzioni, rispetto alla genialità delle sue invenzioni letterarie – che ha veramente contribuito in maniera determinante a creare il mito (assolutamente legittimo) di Fred Buscaglione. Nell’incontrarlo, capii anche a chi – come immagine – egli si ispirasse per raccontare tutte quelle incredibili, caleidoscopiche, rutilanti avventure, che faceva vivere ai protagonisti delle sue storie in musica. Se stesso! Infatti, la prima impressione che mi proiettò – trovandomelo davanti – fu quella di uno di quei vecchi (nel senso di epoca) gangsters irlandesi americanizzati degli anni ’50. Personaggi appartenenti a un gangsterismo sentimentale – in via di cedere il posto alle organizzazioni mafiose industrializzate – felicemente descritti e narrati nei gialli Mondadori di quella stessa epoca. Leo avrebbe fatto la felicità di Sergio Leone per la scelta del cast di C’era una volta in America. Al suo caschetto biondiccio, alla sua faccia sormontata da rughe profonde – da suonatore di sax in locali malfamati – egli aggiungeva un senso dell’umorismo fuori dal comune per l’ambiente, riuscendo a edulcorare la carica negativa dagli eroi buffeschi di: Che notte quella notte, Che bambola, Wisky facile, Noi duri e diecine di altre sul genere. Ci leggiamo alla terza.
RadiocorriereTV n° 24 17/06/03