Eh, Pinocchio

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Ovvero, lettera aperta a Roberto Benigni. Le mie conclusioni

Questa è la seconda parte della lettera aperta che ho inteso inviare a Roberto Benigni/Pinocchio – per mostrargli il mio assoluto non gradimento di averlo dovuto vedere in cotal guisa. Caro Robertaccio – uccisore di Pinocchio e della mia infanzia – avessi tu fatto un film satirico, dove – attraverso quelle vesti (in questo caso accettabili e plausibili), tu avessi tirato le orecchie al povero Berlusconi – tanto per cambiare – allora avrei capito e magari (se giuste), anche apprezzato. Ma – vederti nelle vesti di un burattino, che a niente altro può essere rapportato se non a un bambino – mi ha veramente deluso. Mi sei apparso come una specie di Alvaro Vitali, che – nelle fasulle vesti di Pierino – fintamente interpretava un bambino finto col suo patetico grembiulone, in mezzo a bambini veri (buono solo perché i critici radical chic potessero ‘sdoganarlo’ dopo venti anni). Anche il fatto che tu fossi più ‘vecchio’ di Lucignolo, mi ha confuso vieppiù, inculcandomi maggiormente l’impressione che non un bambino fosse Pinocchio, ma un adulto rimbambito, che si trastulla ancora vestito da paggetto (ricordi mago Zurli?), con in testa un cappello conico fatto di mollica di pane. Ci compreresti l’auto da uno così? Ho sempre eletto Pinocchio a mio punto di riferimento personale. Pinocchio non chiedeva che di essere se stesso, tentando di sfuggire al mondo delle api ‘industriose’, per far esplodere il suo genio di burattino. Ci ha tentato per tutta la favola, ma- alla fine – hanno vinto gli adulti capitanati dalla fatina, che Dio la perdoni. Lui, ha dovuto soccombere, abbandonando la vita per la quale era nato, solo per soddisfare l’egoismo dei ‘grandi’ e ‘fare’ il bambino in una dimensione non sua (irreggimentato, insomma). Personalmente, non sono mai stato completamente felice nel sapere che Pinocchio – al termine della favola – era diventato un bambino come me. Il mio pensiero si è sempre rivolto – con infinita tristezza – verso quel povero burattino di legno, afflosciato – ormai senza vita – su una sedia. Quanti – tra voi- non hanno ancora viva quella dolorosa sensazione di aver perduto per sempre un amico così intimamente complice, così intimamente ‘noi’ ribelli? Con ciò, ho voluto solo esternare non un giudizio critico sul film – di cui non conosco nulla – ma semplicemente un rammarico a livello assolutamente personale. La morale che io leggo nella favola di Pinocchio, la posso riassumere così: “Accettati – e fatti accettare – per quello che sei, l’importante è che tu decida da solo quello che vuoi essere “. Non so se il film sia anche brutto e ‘noioso’ come qualche recensore americano ha sottolineato. lo credo che molte critiche feroci siano rivolte non tanto alla bontà tecnica, alla bravura degli attori o quant’altro, con cui il film è stato girato, ma – forse inconsciamente – alla delusione inferta alla icona, che nell’immaginario di ciascuno di noi, avevamo assegnato al burattino. In altre parole, non possiamo credere che Pinocchio sia tu, Benigni (con tutto il rispetto). Sarebbe la prova della nostra incapacità di dare un volto a un sogno. Niente di personale. Con immutata simpatia.

RadiocorriereTV n°8 25/02/03