Don Backy: giuste le aperture agli artisti collocati a sinistra, però ricordatevi gli altri... Intervista a cura di Girolamo Fragalà Dal Secolo d'Italia di giovedì 15 maggio 2008
Il centrodestra non è più il “mostro”, il nemico da abbattere, un’accozzaglia di dilettanti allo sbaraglio. Qualcosa (forse) sta cambiando non solo nei rapporti tra maggioranza e opposizione, ma anche in altri settori, persino nel mondo dello spettacolo. Non si avverte più quell’atteggiamento snobistico di un certo nucleo di artisti, attratti dalle serate mondane e dai salotti radical-chic vicinissimi agli ambienti veltroniani. Non si avverte nemmeno quell’aria di sufficienza, ai limiti del sarcasmo, che i cantautori impegnati avevano quando parlavano del berlusconismo. La vittoria del Pdl alle politiche, la conquista del Campidoglio da parte di Gianni Alemanno, le prime mosse a livello nazionale, l’idea della Festa del cinema più “italiano” hanno smosso le acque. Qualcuno ha cominciato ammettendo che non esiste una questione di credibilità. Poi ci sono state parecchie aperture da un circuito finora “chiuso”, anche inaspettate, da Antonello Venditti a Giuliana De Sio, da Pino Daniele a Ron passando persino per il simpatizzante bertinottiano Claudio Amendola. Ma c’è anche chi non si fida e lancia un appello al contrario: «Cominciamo a valorizzare chi è stato emarginato per motivi politici, c’è spazio per tutti, basta trovarlo». A parlare è Don Backy, autore di brani storici della musica leggera italiana: «Non vorrei che si finisse per privilegiare solo chi salta sul carro del vincitore o chi strizza l’occhio restando dall’altra parte».
- Il rischio c’è. È anche vero, però, che il Pdl non può ripetere gli errori commessi dalla sinistra. Qualsiasi emarginazione è negativa… Non c’è dubbio. Fanno presto, però, certi artisti a parlare ora, dopo che la sinistra gli ha dato tutti gli spazi possibili e immaginabili. Io mi sono difeso con le unghie e con i denti senza appoggi. E mi hanno sbattuto spesso la porta in faccia.
- Da qualsiasi emittente?
Sembra un paradosso. Non trovo ospitalità neppure nella berlusconiana Mediaset. Non vado a Canale 5 dal 1990 e in Rai faccio capolino solo a prima mattina, in orari poco appetibili. Nessun equivoco, parlo per tutti coloro che hanno sofferto perché messi all’angolo e lancio un appello: chiamiamo quelli che veramente potrebbero dire qualcosa, non solo i grandi nomi che sono di moda ma anche quegli artisti che non dovrebbero essere considerati per l’anagrafe o per la loro collocazione politica. - Lei però, negli anni Sessanta, era all’avanguardia, i suoi brani non erano all’insegna del “cuore-amore”…
Infatti. Ed è pure per questo che non capisco… nelle canzoni ho affrontato spesso tematiche sociali, dal disagio psichico alla religiosità degli individui. Lo facevo quando gli altri avevano ancora i pantaloncini corti. Proprio per questo non sono troppo ottimista: non vorrei essere esagerato ma oggi, se dovessi scegliere se dare fiducia al prossimo o al gatto, la darei al gatto… tanto so che al massimo mi graffierà. - Crede che ci siano “padroni”?
Pensiamo per un attimo al festival. Per anni c’è stato Pippo Baudo, sulle cui scelte nessuno ha mai potuto mettere bocca. L’ultima volta sono andato con un brano nel suo ufficio, gliel’ho fatto sentire in diretta, mi ha detto che la canzone era bellissima. Gli ho risposto che è dal ’71 che non riuscivo a salire sul palcoscenico di Sanremo. Lui ha voluto riascoltare il brano, “bene, bene”. Poi però non si è fatto più sentire. - Una scelta generazionale?
Macché. Negli ultimi anni al Festival sono approdati Nicola Arigliano, Little Tony, Bobby Solo. Vogliamo scherzare? La verità è che ho pure un peccato originale, la mia inimicizia con Adriano Celentano. - Non è vittimismo, il suo…
Credo di avere tutti gli strumenti professionali per capire se un pezzo abbia una sua validità o meno. E non ho mai scritto banalità. Non sono il tipo che si piange addosso, ho sempre lottato, nessuno mi ha piegato. Ma sono rimasto fedele nei secoli e forse ho pagato per questo. Noto una cosa: ci sono trasmissioni tipo “I raccomandati”, “Canzonissime”, “Ti lascio una canzone”, tutte con brani degli anni ’60-’70. Provi a indovinare: chi è l’artista che non è mai stato invitato? Io. Si è mai soffermato, invece, su chi invitano? - Sì, persino chi ha fatto un solo brano o ha cantato Jeeg robot…Appunto. Ma voglio fare un discorso al positivo. Occorre rilanciare la musica italiana.
- Come?
Va organizzato un mercato, anche piccolo ma italiano, dove la musica leggera, avrebbe diritto di cittadinanza. È un’iniziativa difficile, perché si è innestato un processo di globalizzazione da parte di due o tre multinazionali nel mondo che considerano l’Italia un mercato che a loro non interessa, tranne per quei pochi artisti in grado di vendere in Europa. Di un Ron che vende quindicimila copie la Sony se ne frega. In questo Ron ha ragione, l’idea di Alemanno sulla Festa del cinema è ottima e va allargata alle sette note, per rilanciare un mondo valido, messo troppo frettolosamente in soffitta. Sediamoci attorno a un tavolino, svisceriamo i problemi, troviamo qualche risposta. Aspetto una telefonata…