di Don Backy
Attenti alle mode esterofile e alla rassegnazione
Concludo il discorso sulla carità pelosa operata da chi intende sdoganare gli artisti, concedendo loro soltanto un macchiettume di maniera. Penso che l’Italia sia una delle poche nazioni – se non l’unica – a non proteggere il suo patrimonio in questo campo, privilegiando – attraverso coloro che gestiscono l’andazzo (giornali, televisioni, radio, discografici) – unicamente i nomi che creano profitto immediato, oppure correndo dietro a un falso mito giovanilistico, penalizzando autori e interpreti di qualità, per lasciare spazio e visibilità a improvvisazioni momentanee, da vendere alla stregua di una saponetta o di un dentifricio. Gli esempi che ci vengono da nazioni – certamente più evolute, almeno in questo senso – ancorché edificanti, non servono purtroppo da lezione a chi amministra il nostro baraccone artistico canoro. Nomi come Aznavour, Becaud, Cliff Richard, Tom Jones, Ray Charles – per dirne solo alcuni – hanno un seguito mondiale – con i loro repertori – nonostante la veneranda età. Anzi – proprio per questo – essi sono ancor più amati, rispettati e osannati durante i concerti, sempre affollatissimi di pubblico anche giovane. Allora mi chiedo: non è forse la canzone ( tout court), qualcosa che affonda le radici in una cultura ancor più profondamente popolare, da non aver soltanto da spartire con quella paludata, o sedicente rock, scientemente convogliata verso un certo mercato e magari distante proprio da quel pubblico che dai sentimenti semplici e immediati trae gioia? E non ha diritto anche quel pubblico, di amare i suoi beniamini? Ecco, la risposta a queste domande potrebbe segnare un primo passo verso il rilancio di artisti creativi – ancora validi nell’attualità – e di un settore lasciato asfissiare da una egemonia politica, mode esterofile, lobby di potere televisivo, e rassegnazione, che – ancor oggi – potrebbe dare delle sorprese nel mercato. Ecco perché non chiedo uno sdoganamento di facciata, che mi costringesse a essere per sempre quello di trent’anni fa. Io penso – allora – che se bisogna morire (artisticamente beninteso), lo si faccia almeno con dignità, senza lasciarsi usare…..
RadiocorriereTV n° 24 13/6/00