di Don Backy
Analisi, in otto puntate, di una questione discografica tutta da ridiscutere
Di tanto in tanto, ritorno su un tema che mi sta particolarmente a cuore, visto che si tratta di un’anomalia tipicamente italiana. Tempo fa, ho preparato alcune canzoni da sottoporre all’ascolto di Iva Zanicchi, con l’intento – se le fossero piaciute – di realizzare con lei un intero Cd. La risposta che ho avuto qualche giorno dopo, è stata positiva riguardo alle canzoni che Iva ha giudicato buone e adatte a sé. Ero già convinto che l’operazione si potesse realizzare, quando – la mia collega – ha aggiunto malinconicamente: ” Io però sono fuori mercato e fare un nuovo Cd non avrebbe senso…”. Ci sono rimasto male e la cosa mi ha vieppiù amareggiato, perché ho ripensato con tristezza alla situazione italica – unica al mondo – che costringe artisti ancora validi, a gettare la spugna e ad arrendersi. Mi sono chiesto se è mai possibile che in Francia, personaggi del calibro di Charles Aznavour o dell’ottantenne Henry Salvador – per citarne solo due – abbiano ancora l’opportunità di sentirsi pienamente professionisti, ricavando da questa legittima condizione, ancora glorie, onori e prebende, mentre in Italia l’ambiente è condizionato da fattori – anche politici – che fa strame di artisti, concedendo patenti di idoneità – secondo discutibilissimi parametri – che vanno dall’essere giovani, all’essere politicamente impegnati, all’essere graditi e potenti, senza tener conto di alcun concetto meritocratico o di professionalità. Stavolta mi sono divertito a ‘buttar giù’ una serie di motivazioni, per spiegare la conseguenza di questo andazzo,che – secondo me – contribuisce a quella ‘crisi del disco’ -sempre più grave – di cui si sente da tempo parlare. Le motivazioni sono molteplici. A partire dalla tecnologia, la quale – in qualche modo (dall’avvento delle musicassette) – ha offerto ai giovani la possibilità di comprarne una per ottenerne cento. Lo stesso dicasi per i Cd, dato che ogni ragazzo ha almeno un amico fornito di ‘masterizzatore’, in grado di copiare l’unico Cd (di una cerchia di amici), appena comprato (se non scaricato da internet). Mettiamoci la pirateria, l’offerta televisiva di filmati musicali in continuazione, la naturale stanchezza verso un prodotto inflazionato, che non ha saputo creare una giusta lunghezza d’onda con una maggioranza di utenza, e – in più – le centinaia di altre distrazioni/novità (Gameboy, e varie del genere), e la crisi è servita. Ne misuriamo l’entità, dall’assegnazione di “dischi d’oro” già a 50.000 copie (presto saranno 30.000), mentre prima ne occorrevano 500.000. Infine aggiungiamoci i prezzi dei prodotti, che potrebbero essere ridotti, se tutte le pretese artistiche e non, fossero ridimensionate. Paradossalmente, il pubblico adulto – potenzialmente l’acquirente base, avendo disponibilità finanziarie maggiori – si è trovato privato di una scelta, che avrebbe potuto favorire artisti giudicati ‘superati’. Analizziamone le cause. In Italia – dove la musica leggera non è mai stata protetta – è tutto iniziato da una politica giovanilistica, che ha favorito l’invasione di musica straniera e ha indotto – i giovani soprattutto – a considerare ‘finiti’, artisti ancora in grado di dare molto. Assurdo. Segue….
Radiocorriere TV n° 15 16/04/02
Nota: dopo questo articolo l’argomento viene sospeso per dare spazio agli articoli che Don Backy ha dedicato ad Umberto Bindi.