C’era un Clan

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Viaggio a ritroso ad un tempo “storico” su cui riflettere

Sono in molti che – in diverse situazioni – mi chiedono di raccontare di qualche episodio curioso o significativo accaduto al clan, quando ne facevo parte. Capisco questo desiderio, soprattutto in alcuni della mia generazione, ancora legati alle immagini di simbolo dell’amicizia che riflettevamo noi ragazzi appartenenti a quella congrega. Ebbene, attraverso il mio libro C’era una volta il Clan – essendo questo una sequenza di ricordi, appunto – ho narrato molti momenti della nostra storia, artistica e non. Mi limito quindi a ripercorrerne con la memoria, uno tra i più divertenti (oggi, per me, non certo allora), in modo che – ad onta di tutto quel che è accaduto in seguito ( e che trauma causò a una parte dei giovani di quella generazione, proprio per l’aspetto simbolico che avevamo assunto) – si possa ricordare quei momenti, con un pizzico di nostalgia allegra. Ho usato dei nomi di assoluta fantasia – ancorché riconoscibili dalle loro precise caratteristiche – per dare alla storia una dimensione più universale, toglierla dalla routine del quotidiano e renderla così – possibilmente – più fantastica: Cominciamo dunque: “(….) Terminato il concerto all’ hotel Mèditerraèe di Pegli, ingannammo nella hall, un tempo piuttosto sonnolento, parlando della rapina del secolo attuata in Inghilterra con un assalto al treno, e – riempiendoci la bocca – fantasticammo su cosa avremmo fatto noi, con una cifra di cinque miliardi, che era stato il bottino. Cacchio Dick, tu come minimo ti compreresti un paio di mutande nuove….” “Sei pazzo? Buttar via così i soldi…” – e via con queste facezie. Poi Mailand, prese a spruzzare Gim Santippe con l’acqua contenuta nel fondo di un bicchiere. Il chitarrista sopportò pochissimo, quindi – apparentemente imbronciato – si alzò e disse che se ne andava a letto. Verso le quattro anche io e Dik Marrano salutammo gli altri e salimmo nella nostra stanza. Battuti nella battaglia con il dio Morfeo, ci lasciammo cadere sui lettini, ma ne schizzammo via prima ancora di aver capito che le lenzuola erano cosparse di zucchero. Fuori, gli usignoli cantavano nell’aria appena fresca e noi – da bravi merli – ci eravamo fatti buggerare. Aprire la porta della stanza di Cavallo (che sicuramente era stato l’ideatore dello scherzo), fu un gioco da ragazzi. Smontammo i mobili e li ammucchiammo nel centro insieme ai materassi, le sedie e i tappeti. Svitammo le lampadine, scrivemmo i nostri saluti con il dentifricio sullo specchio del bagno e uscimmo. Gli altri – giunti nel frattempo – tentarono di scardinare la porta senza riuscirci. Alla fine desistettero e tutto tornò silenzioso…”. Non penserete mica che sia finita in maniera così liscia, vero? Alla prossima. 

RadiocorriereTV n°35 28/8/01