di Don Backy
Le riflessioni sulla crisi del disco e altri interrogativi in pieno sviluppo
E’ possibile che sia così difficile constatare di quanto grande e amorevole sia il seguito che ancora vantano questi cantanti durante le loro esibizioni canore (che sono centinaia in tutta Italia)?. E allora? Come la mettiamo – ad esempio – con artisti come Titti Bianchi, Franco Bastelli, Al Rangone, Ruggero Scandiuzzi e co., che vendono centinaia di migliaia di copie e che sono del tutto sconosciuti a questi sofisticati ‘addetti ai lavori’? Non è produzione musicale quella? E nel constatare che le maggiori vendite sono ancora oggi appannaggio di appartenenti alla seconda area, ancorché ben protetti dal potere dei media? Sicuri che anche altri di questa fascia non avrebbero le stesse chances, se altrettanto tutelati? Non è questo il segno che si tratta solo di ‘gradimento del personaggio’? E come lo si ottiene se non sponsorizzandone la figura, il valore, attraverso una saggia promozione massmediale? Collocandolo cioè in una fascia di credibilità psicologicamente indotta (“l’ha detto la televisione, il giornale, ecc.”). Oltre al constatare che i giovani venditori si rifanno a canzoni d’impronta ‘annisessanta’ come testimoniano i Lùnapop, i Gazosa o Valeria Rossi, la canzone della quale mi ha addirittura ricordato (con Sole, Cuore, Amore) un brano degli anni ’40 (credo) e che grosso modo diceva: “Sono tre parole, ti voglio bene/ Tre parole sole, che vuoi da me…/. Fortunatamente – almeno a giudicare dalle e-mail che ricevo – evinco che non tutti i giovani sono condizionati da questo falso mito del giovanilismo o dell’impegno. Basterebbe un pò di buona volontà e una qualche considerazione in più per dei professionisti che nulla avrebbero (hanno) da invidiare a chicchessia. (Non fosse altro per l’esperienza accumulata). Per quanto riguarda il genere, lascerei giudicare al pubblico e a chi volesse investirci. Del resto, per dirla con il poeta: ” Il vero nuovo è ciò che corrisponde a un desiderio antico” (Valery). Il fatto e che la ‘gente’ non canta più e quando il popolo (tutto il popolo) non canta, vuol dire che non si sente rappresentato dalla musica che gli viene proposta. L’acculturazione tentata attraverso un certo tipo di canzoni, è come un totalitarismo politico imposto con le armi. Oltretutto, questa specie di innovazione nella promozione della musica, ha contribuito a distruggere il vero ‘Mercato della Canzone’, quello -forse un pò artigianale – che negli anni ’50 ’60 si svolgeva durante tutto l’anno, nelle stanze degli editori, tra Galleria del Corso, Piazzetta Piattari e i ritrovi limitrofi in Milano, con il pullulare di incontri tra autori e cantanti con editori e discografici, i quali non disdegnavano di ascoltare i brani, anche strimpellati su una chitarra o con tre dita su un pianoforte. Le canzoni avevano libera cittadinanza, ‘giravano’ e non sono poche quelle che venivano omaggiate di versioni diverse, tutte quasi sempre di successo. Gli editori avevano grandi rientri, stampavano le orchestrine, che contribuivano a una sempre maggior divulgazione del prodotto/canzone. E soprattutto erano rispettate le competenze di ciascuno (a parte Del Prete e Detto Mariano). Perché questo non accade più?
RadiocorriereTV n° 25 25/06/02