Cantanti di plastica

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Si è capaci di piangere ancora oggi per un’emozione? Negli anni ’60….

Parlavo – la volta scorsa – dell’atteggiamento plastificato che assume la maggior parte dei nuovi cantanti – quella ostentata dose di prosopopea, che li fa sembrare distaccati dalle emozioni – quando si trovano ad affrontare una qualsiasi manifestazione canora, televisiva e non. La sensazione ( che hanno la certezza di far arrivare di qua dallo schermo) è sicuramente quella di piacere. sembrano dire infatti. “Eccomi qua, guardate che bel look, come mi muovo bene, che fisico mozzafiato, come sento il ritmo, ecc. ecc.). Quasi mai – però – queste esibizioni riescono a far giungere il senso di ciò che essi stanno raccontando (di qui, l’assoluta poca importanza che si da ai testi). Cosa c’è dietro quella storia? Che passione avrà travolto i protagonisti? A che ora sarà stata scritta? Era notte o giorno? Pioveva o c’era il sole? Insomma, non c’è trasmissione – in queste esibizioni – affinché anche il pubblico possa correre dietro a quella storia e – ognuno con la propria fantasia – darle i contorni che più aggradano, immaginarsi addirittura di esserne i protagonisti, scovandovi analogie con la propria storia e – finendo con l’immedesimarcisi – sentire di non poter fare a meno di quella canzone. Le vendite dei nostri dischi (anni ’60), dovevano molto a quel sentimento popolare che riuscivano a trasmettere veicolando alle nostre paure, alle ansie di non riuscire a farcela o a convincere di quel che stavamo raccontando, annettendo al testo un’importanza fondamentale, finendo per porgerlo in maniera credibile. Specie se si trattava di una canzone scritta e interpretata dall’autore medesimo, che magari aveva vissuto realmente quella storia. Fosse stata anche una canzone con testo leggero e senza troppe pretese, cercavamo di renderlo credibile, proprio grazie a quel tanto di emozione, di tensione, che ci attanagliava prima della esibizione e che – a volte – ci portava anche a non essere tecnicamente perfetti, ma – proprio grazie a questo – essa veniva recepita dal pubblico più intensamente. Ed ecco allora – alla conclusione – il risultato positivo di un trionfo di consensi, che sgorgava irrefrenabile dall’interno di quella scatola dove battono le emozioni e che – non di rado – faceva accogliere quel consenso con un pianto liberatorio, certi che il senso di tutto questo fosse l’aver svolto bene il proprio compito, con amore e passione. Si è capaci di piangere ancora oggi per un’emozione? Sul prossimo numero la conclusione.

RadiocorriereTV  n° 38  19/9/00