di Don Backy
E un giorno arrivarono Mick Jagger, The Who e i compagni. Ma Modugno e Paoli ….
Completiamo le riflessioni sul periodo relativo alla Beat Generation iniziate nel numero scorso e vediamo il coinvolgimento italiano dell’epoca. Il nostro apporto a quel periodo è scarso e non incisivo. Le ragioni si possono solo azzardare: forse, essendo noi mediterranei e latini, abbiamo sviluppato nel DNA musicale l’orientamento melodico e armonico che asseconda in maniera naturale la nostra bellissima lingua. Ne sono testimonianza migliaia di stupende canzoni che hanno conquistato il mondo, quindi sentiamo in misura minore tutto ciò che, invece, è ritmico (non a caso i musicisti negri o anglosassoni riescono soprattutto in questa direzione). Nessuno ci può impedire di provarci, ma – all’occorrenza – finiamo il più delle volte per fare figure ridicole. Oppure i complessi musicali nostrani non avevano al loro interno autori in grado di comporre canzoni originali con le quali determinare uno stile proprio e una via italiana al beat (auspicata da me nel brano Serenata e poi da Adriano Celentano in tre passi avanti) Per forza di cose i gruppi nostrani dovettero rifarsi al già fatto dai gruppi stranieri e limitarsi (salvo casi sporadici) a scimmiottarli con cover in cui solo il testo era riportato in lingua. Questa situazione finì col diventare comoda, dal momento che bastava anticipare il nuovo disco dei Rollino Stanze, dei Mamas & Papas, dei Procol Harum e via dicendo, per ottenere un nuovo successo, ma riducendosi così a un ruolo di portatori di cultura musicale altrui. Il ruolo è stato rinforzato dalla moda sartoriale ispirata ai modelli anglosassoni o dalle stesse copertine dei 45 giri, che vedevano ritratti i vari gruppi negli atteggiamenti – un pò truci . Già visti sulle copertine di Stanze, Them, Who, ecc. Questo iter secondo me ha inaridito la creatività dei nostri autori, che non trovavano più clienti per la loro produzione e che, non di rado, venivano sbertucciati per le caratteristiche melodiche delle canzoni che proponevano e ghettizzati come incapaci di stare al passo con le mode. Solo pochi hanno resistito a quella falsa – per noi – rivoluzione musicale, che come unico risultato ha distrutto un patrimonio di creatività e di cultura (Modugno, Bindi, Endrigo, Donaggio, Paoli e tanti altri), immolato sull’altare di quel modernismo fasullo.
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