di Don Backy
Ricordando una certa magia degli anni Sessanta, epoca d’oro di grandi sogni
Era il 1961 ed ero stato scritturato per la stagione estiva, al dancing ‘Il Pirata’ di Marina di Massa, con il mio complesso (allora si chiamava così) i Delfini’ (ex ‘GoIden boys’ ex ‘Kiss’). Sotto le spoglie artistiche di Agaton – nelle sere in cui la nostra esibizione finiva a orari decenti – mi recavo alla Bussola di Focette, in compagnia del mio bassista Fabio Picchi, sulla sua Topolino, ad ascoltare i grandi del momento. Non di rado, ci fermavamo in un locale, che precedeva il leggendario santuario di Sergio Bernardini, dove – sotto la scritta al neon che ne recava il nome:’Carillon’ – leggevamo quello del complesso che vi si esibiva: I Flippers. Credo che essi – oggi – rappresentino un po’ la magia di quegli anni. Non perché fossero particolarmente bravi, anzi – con Fabio – criticavamo la loro scarsità musicale (oggi avremmo detto che erano delle pippe mostruose), ma perché avevano azzeccato una formula che funzionava alla grandissima. Avevano – cioè – banalizzato (reso popolare) il modo di suonare la musica latino-americana, la quale era giunta a noi veicolata da grandi orchestre, quali quelle di Xavier Cugat – coadiuvato dalla moglie Abbe Lane – e di Perez Prado (ricordate il grido uh’, al termine dei riff musicali?), formidabile soprattutto nei mambo. I Flippers, attraverso l’uso di una serie di carabattole, erano riusciti a rendere praticabile quel genere a tutti i complessini, pure scalcagnati. Non solo, ma lo avevano reso ballabile anche a pachidermi negati. Oltre a questo, essi avevano arricchito il repertorio del genere, trasformando in cha-cha-cha – il ballo di gran moda al momento – canzoni di grande popolarità, che – all’apparenza – non avevano nessuna caratteristica tipica. Oltretutto – non avendo essi un cantante solista degno di questo nome – si erano risolti a cantare tutti insieme, creando così una sonorità vocale inusuale. Ci fermavamo – quindi – per ascoltare quel genere e per carpire quei semplici segreti che avremmo immesso il giorno successivo nel nostro repertorio da ballo, o per trasformarne altre – di nostro gusto – su quella falsariga. Musicalmente – a parte qualche eccezione (vedi Massimo Catalano alla tromba oppure Lucio Dalla, che per un breve periodo a cavallo tra il ’62 e il ’64 suonò con loro il clarino, gli altri – a partire da Fabrizio Zampa alla batteria, Maurizio Catalano (fratello di Massimo) al basso, Franco Bracardi (che cantava le canzoni di Peppino di Capri e di Marino Barreto Jr) al piano, e Romolo Forlai al vibrafono e tumbe, non è che si facessero particolarmente apprezzare, intendiamoci, per le loro capacità strumentali. Questo, a dimostrazione di quanto – una grande intuizione (avuta – a onor del vero – da LilIi Greco, il loro direttore artistico alla Rca, che letteralmente li inventò), unita alla confluenza di circostanze fortunate (dalle quali comunque nessuno può prescindere), abbiano potuto determinare inspiegabilmente – se si cercano solo valutazioni di qualità – il fenomeno dei Flipper, che – nel loro genere – hanno comunque caratterizzato un’epoca.
RadiocorriereTV n° 2 13/01/04