In treno

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Prosegue il “viaggio” della mia canzone ispirata da un disagio mentale

Sul treno che mi portava a Roma da Forte dei Marmi (dove ero in vacanza), e dove avrei dovuto tenere un concerto nel giardino di una casa di cura, l’idea di scrivere una canzone divertente su un pazzerellone – per quanti sforzi facessi – non riusciva a prendere corpo. Anzi, più tentavo di inserire questo concetto in un involucro ritmico divertente (samba, cha, cha, cha, ecc.), più il testo – anche spiritoso – sembrava rifiutarsi di aderirci. Rinunciai al momento. Nel pomeriggio romano, al termine del mio concerto – dedicato per lo più ai parenti degli sfortunati ospiti – fui colpito dalla presenza di un ragazzo sui quindici anni – apparentemente senza problemi che giustificassero il suo ricovero in quel luogo – il quale aveva assistito alla mia esibizione, senza mostrare un interesse particolare. Mi osservava di sotto il palco, assolutamente ‘assente’. Solo alla fine – dicevo – mi fu chiaro il perché del suo comportamento. Quando – cioè – venne accuratamente prelevato da due infermieri e condotto via. Ci rimasi male, perché scoprivo improvvisamente che quella ‘malattia’, non era un’esclusiva degli adulti e che – chi ne soffriva – non faceva assolutamente ridere come i protagonisti delle barzellette, che si credono Giulio Cesare o Napoleone. Un autistico, mi dissero. Non avevo mai sentito nemmeno parlare di quel problema mentale e lì per lì mi parve anche un po’ buffo come termine. Ma quando mi spiegarono che il ragazzo era come se si fosse chiuso in se stesso e avesse gettato via la chiave forse per sempre, la mia sensibilità ne rimase colpita. Il giorno seguente, ancora sul treno- mentre viaggiavo a ritroso – ritornai sulla possibilità di inventare una lirica sul problema. Pensai a quel ragazzo, alla sua impossibilità di poter godere (a modo nostro), delle cose straordinarie della vita. Pian piano l’atmosfera in quello scompartimento, si fece malinconica. Il fatto poi che lo occupassi da solo, contribuì maggiormente a che diventassi preda di quella malinconia. Chissà, fu probabilmente lo scandire ritmico, ripetitivo e ossessivo delle ruote sui binari, che una melodia – altrettanto malinconica- prese a farsi posto nella mia testa, spazzando tutto quell’allegrume che avevo tentato di creare il giorno precedente. Sì, le ruote, stavano cadenzando l’esatta ritmica che avrei adottato.Anche la melodia adesso era piuttosto chiara nella mia testa e vesti una storia, che certamente non sarà stata quella del ragazzo in questione, ma che – altrettanto certamente – poteva raccontare il suo ‘disagio mentale’. Quando scesi a Viareggio, avevo riempito una serie di foglietti, ai quali avevo dato un titolo complesso quanto la mente del ragazzo, che avevo fatto protagonista di una storia d’amore (anche questa non certamente da lui vissuta) ma che – avevo immaginato – lo avesse portato lì dove lo avevo incontrato: Sognando fumo e argento. Non saprei dire perché. Forse semplicemente perché mi piaceva, forse perché era venuto spontaneamente, oppure perché in quegli elementi avevo visto la confusione e la chiarezza. Non so, fatto sta che quello fu il primo titolo che adottai per quel brano. Sì, andrò ancora avanti… 

RadiocorriereTV n°12 25/03/03