di Don Backy
Conclusioni sulla professione del paroliere, che contribuisce al successo di una canzone.
L’esempio di Luciano Beretta
Questo è il seguito della mia lettera – che ha preso l’avvio nella puntata precedente – dedicata al grande paroliere Luciano Beretta, contenuta nel libro, Piacere, Luciano Beretta, il paroliere di…: “Oggi che mi viene chiesto da Elide Suligoj (deliziosa cantautrice dei miei personali tempi del sogno), di incontrarlo ancora una volta attraverso questa pagina – dato che mi è mancato il modo di farlo quando era in vita. Ho accettato con trasporto istintivo, quasi potessi dirgli quanto gli voglio bene e non so perché. Certo, ho anche collaborato con Luciano, in due canzoni intitolate Io che giro il mondo e Cara. Di quest’ultima- come ho raccontato anche nel mio libro Cera una volta il Clan – ho un ricordo importante. Cercavo – da tempo – un’autonomia totale, che mi desse la qualifica di cantautore a tutto tondo e soffrivo per non riuscire ad esprimere il mondo interiore, che pure sentivo ricco di risorse poetiche. In Cara avevo abbozzato un testo che non mi soddisfaceva. Chiesi allora aiuto a Luciano. Nacque così quella canzone, che mi rese infelice solo per il fatto di non essere stato io, capace di sviscerarla, ma soddisfatto, perché rappresentò per me una nuova, piccola scintilla. Da quel momento decisi che non avrei mai più scritto canzoni che non avessi fatto io. Il primo brano che seguì e che realizzai nel ’65 fu L’Amore. Non entro nel merito della collaborazione di Luciano con il Clan. Ma dire che ne era il paroliere è ingiusto e riduttivo. Luciano, attore, comico leggero, mimo raffinato, ridotto a paroliere del Clan? Eppure, in quella veste di poeta, egli – unico – ha caratterizzato Celentano nel personaggio di cui si gloria di essere anche come persona: un ecologista. Scrisse infatti con la stupenda intuizione favolistica: Il ragazzo della via Gluck. La sua squisitezza non gli permise nemmeno di mandare al diavolo il molleggiato, il quale pretese che quella canzone fosse controfirmata da altri (era un aut-aut imposto a tutti, al quale solo io ero riuscito a sottrarmi dopo averlo subito per alcuni brani: Sabato triste, La storia di Frankie BaIlan,Tu Vedrai, L’ombra nel sole…). Luciano anche in questo riusciva a essere brillante, e magnanimo, sapendo che, le canzoni, non sono di chi le firma (vero Mariano e La Valle? ndr), ma di chi le ha estratte fuori dalla sua creatività, magari gettandoci sudore, dolore, passione, ossa, sangue… Mi auguro che almeno – anche se di nascosto – lor signori abbiano l’umiltà e la carità di portare un fiore sulla sua tomba. Io ne dubito” .
RadiocorriereTv n° 27 08/07/03