di Don Backy
Altri motivi sulla vacuità dei criteri di selezione al Festival di Sanremo
Ho chiuso la puntata scorsa con l’intento di rispondere alla mia stessa domanda, tendente a dimostrare quanto sia assolutamente inutile e immotivato, il ricorso a una commissione giudicante le canzoni che vengono presentate per l’ammissione al Festival di Sanremo. Ho già avuto modo di dire – proprio su queste pagine – di quanto sia assurdo dare giudizi su una canzone (attenendo questa alla sfera dei gusti più personali). A maggio ragione, ritengo sia assurdo darne su quelle inviate alla suddetta manifestazione. Vi spiego perché: la mia canzone (l’avrei cantata con Milva, come detto), si intitola Se io fossi amore. Parla di un amore ‘maturo’, vero, ed è stata eseguita magnificamente (credo di avere le carte in regola per poterlo affermare), da due artisti che la vita l’hanno vissuta e quindi capaci di offrire emozioni adulte, sofferte e non la solita cottarella tra finti adolescenti (prima o poi la inserirò in un Cd al quale sto lavorando adesso). Lei – un’artista di fama internazionale- con una voce carica ancora del giusto pathos per ben eseguire i concetti da me espressi nel brano, ben contrapposta alla mia, anch’essa carica – se non altro – della sensibilità di chi l’ha scritta. Dunque: pur salvando le capacità di valutazione dell’individuo componente la ‘commissione giudicatrice’, perché – i succitati – devono avere la potentissima chance di decidere la bontà dei brani che dovranno essere ammessi in gara? A parte il fatto che anche maestri o autori di chiara fama, non potrebbero arrogarsi il diritto di giudicare la bontà di una canzone – se non da un personalissimo punto di vista – è così cieca l’industria discografica (più di quanto sia colpevole) da non subodorare il pericolo che si cela nella rinuncia a voler essere arbitra del proprio destino? Da questo ibrido non è possibile uscire, se non accettando lo status quo – che attua oggi chi rappresenta il potere (leggi: rete televisiva) – oppure mediante una netta separazione di competenze. Di qui, l’esigenza che mandare un brano al Festival debba essere la decisione presa all’interno della stessa casa discografica, la quale – discussi e approvati i suoi piani – operi la scelta delle canzoni, in base ai suoi interessi artistici e commerciali. Si potrebbe avere finalmente un festival rappresentante tutti i gusti, che desse spazio anche ad artisti così penalizzati da una logica aberrante, che tiene conto (per alcuni) dell’età o dell’aspetto fisico (come se un professionista – superata una certa età – dovesse di colpo cambiare mestiere o accontentarsi di essere ghettizzato in tutto un mondo di serie B, senza più avere l’opportunità di esprimere se stesso e la sua creatività 9 e dare infine soddisfazione al pubblico in generale e non solo al pubblico ‘giovane’ – fruitore del festival, in bassissima quota e solo quando ci sono artisti stranieri di suo gradimento ( che peraltro cantano in playback), pubblico che potrebbe rivedere e riascoltare in , gara, artisti vantanti – se Dio vuole – ancora pieni diritti in questa repubblica, soprattutto se i discografici di questi artisti professionisti – unici giudici plausibili – avessero deciso in tal senso. E non finisce qui.
RadiocorriereTV n° 9 5/03/02