di Don Backy
Altre riflessioni sulla responsabilità del “recensore” di musica leggera
Ho chiuso la volta scorsa, infervorandomi nei confronti di quel particolare tipo di ‘recensore’, che – dimentico del suo principale compito (valutare la bontà di una canzone – qualsiasi tipo di canzone – anche non rispondente al suo personale gusto), esprima un’opinione da ‘tecnico del settore’, senza entrare in merito dei concetti – anche semplici, ancorché corretti e gradevoli – espressi dagli autori, dal momento che il pubblico fruitore è così ampio, da offrire cittadinanza anche agli amanti di canzoni semplici, tipo: Solo tre parole, sole, cuore, amore, senza che nessuno debba scandalizzarsi. Nei confronti di loro signori ho ancora qualcosa da dire, poiché sono convinto che – con le loro paludate elucubrazioni – i professionisti della recensione col birignao, hanno finito con lo scavalcare quel pubblico, che avrebbero voluto educare verso un mercato più acculturato, attraverso una canzone più ‘ intelligente’, ma dalla quale sono scomparse le pulsioni di un linguaggio genuino e comprensibile, fatto di sentimenti eterni e non solo ‘messaggi impegnati’, criticati con terminologie troppo sofisticate per lasciarle in mano a recensori di – tutto sommato – canzonette. Alcuni si sono fatti prendere da ‘delirium tremens’, quando si è trattato di formulare un giudizio su certi dischi e cantanti dell’ultimo Sanremo. Hanno inventato iperboli, rasentando la perfezione dell’imbecillità in quanto a incensatoria terminologia, così lontana dal linguaggio della ‘base’ (a dirla con loro), incomprensibile ai più. Ma – mi domando – come facevamo noialtri, in quei fottutissimi anni ’60, nel bel mezzo del ‘boom’, a vivere, innamorarci, piangere, gioire, incazzarci o essere felici, senza le illuminanti canzoni impegnate di Vecchioni? Un risultato di questa politica lo hanno ottenuto determinando – con una presa di posizione decisiva – la vittoria di un Sanremo di qualche anno fa, per un gruppo così di nicchia, che mai si sarebbe sognato di vincere un festival così popolare. L’esito ottenuto è stato uno scarso riscontro di vendite e la successiva sparizione dalle cronache del gruppo in questione. Gli autori e i cantanti professionisti, nazionalpopolari della seconda area, sono ormai ghettizzati come portatori di demagogia, vecchi, alla faccia di un progressismo che rispetta il popolo (pubblico) solo quando ama i poeti che partecipano all’esclusivista Premio Tenco, e denigra quello che ama i cantanti e gli autori di canzoni – senz’altri aggettivi roboanti – che prendono parte al Festival di Sanremo, o quelli confinati in un limbo dolciastro e vischioso, richiesti in casi di necessità o per ‘pelose’ rievocazioni di ‘Come eravamo’.
RadiocorriereTV n° 22 04/06/02