Le tre aree

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Terzo capitolo sulla crisi del disco e i mille problemi per varie tipologie di autori

Schiacciati tra la prima e la terza area, autori e cantanti della seconda area, non rientrando “nel giro giovanilistico/impegnato” della prima – tanto meno sentendosi di appartenere alla terza – hanno finito con l’essere gradatamente abbandonati dai discografici, tutti volti ormai a una prematura riconversione verso le “emergenti voci nuove a getto continuo” (da precipitare nella terza area dopo eventuali ‘flop’), e i vecchi santoni dell’impegno o del mestiere (per i quali il calendario non scorre), riusciti a riciclarsi mediante l’appartenenza politica e una sorta di intellettualismo radicalschic (che è sempre un ottimo alibi per giustificarne l’accoglienza in qualsiasi salotto della promozione, specie radiotelevisiva). Si sono così depauperate le esperienze, mortificate le capacità e regalato il vasto bacino di utenza (formato da una composita ‘maggioranza silenziosa’ – un tempo principale appannaggio della seconda area) alla vorace e sempre più aggressiva produzione che arriva dall’estero, la quale – forte delle teste di ponte rappresentate dai dj, che hanno lavorato per condizionare sempre più questa utenza e renderla un mercato da mungere, assoggettandola ai loro indirizzi e gusti, operando selezioni drastiche, favorendo artisti – da loro giudicati ‘trendy’, secondo parametri del tutto personali – conquistando così quel potere decisionale che ha loro permesso di portare i discografici – titolari e produttori della musica su supporti – al paradosso di dover stipulare ricchi contratti con queste radio, per poter sentir passare le canzoni da promuovere. (Mi domando: ma se i discografici decidessero di non fornire più i supporti e – appoggiati da una legge seria – dicessero. “Se volete trasmetterla pagateci i diritti (come fa la Rai)”, cosa accadrebbe allora? Il risultato invece è stato che per l’80%, quel bacino di utenza si è impoverito in un crescente e progressivo disinteresse. E allora, le nostre belle e popolaresche canzoni, cantate – un tempo – durante il lavoro dai fornaretti, dalle sartine, dai muratori, dove sono più? Dove sono oggi i brani corrispondenti a : Sassi, Arrivederci, Come prima, Il nostro concerto e mille altre, dai temi semplici, ma caldi e vibranti di emozioni eterne? Non che oggi manchino le canzoni, ma non le cantano più i ragazzi per strada. Le si ascoltano urlate in coro, durante quei mastodontici concerti (un pò come accade per le canzoni di chiesa, che si cantano solo in quel luogo e poi non più), quasi fosse un fatto rituale, di moda, più che passionale e sentito intimamente. Quindi oggi – se ancora capita di sentir cantare un qualche muratore (di una certa età) su di un’impalcatura, è più facile che gli si senta ‘strillare’ Nel più bel sogno ci sei solamente tu… di trentaquattro anni fa che qualche pezzo di Pelù o di De gregori, i quali – con tutto il rispetto – non sono cantati nemmeno dai muratori più giovani (che la crisi del disco sia inversamente proporzionale alla crisi dell’edilizia?). In realtà, si è lavorato – consapevolmente o no – per portare il cervello all’ammasso del solito, falso mito, che non mi stanco mai di deplorare: il ‘Giovanilismo’, fatto passare per modernità. 

RadiocorriereTV n° 20 21/05/02