Dischi in calo

A cura di Renata Mallia

di Don Backy

Prosegue l’analisi di un mercato sempre più avaro di richieste e ricco di invenduti

Tutto questo, per privilegiare quella ritmica così poco confacente alle caratteristiche della nostra lingua, che per la sua compiutezza, è invece molto difficile da ‘interpretare’ – se non si è bravi davvero – e sfornando così ibridi, che nella maggior parte dei casi restano invenduti nei negozi. Un ‘mercato’ senza sbocchi, condizionato dai predetti clan e generi, costringe (quasi una necessità ormai come dicevamo), a dover ‘creare’ per la ricerca del ‘colpaccio’ tout-court, nuovi artisti/prodotto a ripetizione, i quali – se non renderanno immediatamente, o se ‘bruciati’ dopo un unico successo – saranno impietosamente scaraventati di colpo nella pattumiera della terza area. Purtroppo però – come abbiamo già scritto – questi ‘pattumierizzati’, non scompariranno mai del tutto. Diventeranno veri e propri ‘mostri’, che – ancor più aperti a ogni compromesso pur di continuare ad ‘apparire’ in una degradante desescalation – troveranno chi gli procurerà una registrazione discografica, (magari fatta in casa) o dei passaggi in tv di quartiere, contribuendo a formare quel marcio sottobosco, nel quale ingrasseranno individui sempre più squallidi e che servirà a intasare un mercato sempre più avaro di richieste e sempre più gonfio di proposte invendute. I professionisti non tutelati della seconda area, saranno sempre più ghettizzati dall’età – o da un genere che ‘non va più’ – in trasmissioni di ripiego (o di scarso interesse promozionale, quando va bene), richiesti solo per riproporre canzoni del passato. E forse è questo un inconscio tentativo di riagganciarci a tradizioni bruscamente interrotte (1968), alle nostre melodie piene di un lirismo intimista e sensuale e alle nostre radici, che – se opportunamente innaffiate – darebbero grandi frutti ancora oggi, come accade in nazioni a noi vicine. No, non saremo mai come i negri o come i francesi o gli inglesi e nemmeno come gli arabi, i turchi o i greci. Loro hanno qualcosa in più di noi e non sono le corde vocali o il colore della pelle. E’ molto, molto di più. Essi sono orgogliosi di essere chi sono, perché – attraverso la loro arte – esprimono se stessi, la cultura della loro razza, della loro nazione. E noi? Per essere veramente come loro, paradossalmente dovremmo smettere di voler essere negri bianchi, neri a metà, tutti neri, e di dare un valore negativo all’età (unica nazione in Europa a farlo), solo se non si appartiene a una certa area politica, facendo finta di non accorgerci che gli unici cantanti che si sono imposti attualmente in Europa (soprattutto nelle vendite), sono due cantanti ‘all’italiana’ – per quanto moderni – e si chiamano Laura Pausini e Eros Ramazzotti. Si forse per vincere la crisi dovremmo imparare ad accettarci e a essere orgogliosi di noi stessi, di essere la patria della fisarmonica e non della chitarra elettrica, riaprendo un mercato di proposte a 360°, educandoci ed educando il pubblico a giudicare (ma già lo saprebbero fare, basterebbe dargliene l’occasione), considerare ed apprezzare tutti gli artisti, dando loro la possibilità di esprimersi e di proporsi, al di là delle loro idee politiche e anche dopo che questi avranno superato il 25° anno d’età.

RadiocorriereTV n° 23 11/06/02