di Don Backy
Considerazioni, a posteriori, di un insuccesso quasi annunciato
Voglio ritornare sul Festival di Sanremo – come si suol dire, a bocce ferme – ora che tutte le polemiche sulla Carrà, su Ceccherini, Papi, sul crollo degli ascolti, si sono placate – tanto per non dare l’impressione di saltare alla gola di chi è già in ginocchio – con alcune considerazioni di carattere personale sul perché di un così scarso interesse da parte del pubblico, verso questa che può – con tutti i diritti – definirsi una istituzione nell’ambito della musica leggera e – perché no – del costume. Sono anni ormai che il Festival cerca pubblico più con quello che viene costruito intorno alle canzoni, piuttosto che con queste stesse, le quali – invece – dovrebbero essere le assolute protagoniste di una manifestazione che si chiama, non a caso – e tutt’ora – Festival della canzone italiana .Non è occasionale che il calo di interesse verso il naturale prodotto della manifestazione (le canzoni), sia iniziato in concomitanza dell’avvento – con tanto di presa di potere sempre più autoritaria – delle multinazionali del disco e del loro concetto (giusto da quel punto di vista), di mercato globale. Quali interessi potevano (e possono) nutrire questi colossi verso un prodotto nazionale scarsamente vendibile in Europa e nel mondo? Nessuno. A giganti che fatturano annualmente milioni di copie con artisti di fama internazionale, cosa volete che importi una manifestazione popolata di big (?), che al massimo vendono poche migliaia di dischi nel proprio Paese, o di altri, che toccano il cielo solo per essere inseriti nella compilation, che solitamente arriva a qualche diecina di migliaia di pezzi? Nulla. Perché allora lasciarci in mano questo prezioso giocattolo? Gradatamente quindi – queste enormi strutture – si sono mosse non già alla conquista di una manifestazione ( commerciale quanto si vuole ma pur sempre rappresentante di una tradizione e di una identità nazionale), ma a quella di una passerella promozionale, ma a quella di una passerella promozionale, collegata in un sol colpo con quasi tutti i Paesi europei e con buona parte dei Paesi nel mondo (fosse soltanto attraverso i filmati). Considerando anche l’indotto: stampa, fotografi, network ecc., si arriva a qualcosa di una potenza pubblicitaria enorme. Ecco quindi l’offerta di nomi di fama mondiale, che servissero (solo apparentemente), quali polo d’attrazione per il pubblico. In realtà questi artisti giungono assolutamente garantiti dal non dover sottostare alla dura legge della gara, oltretutto con la rassicurante certezza di non sbagliare nulla (dovuta all’uso del playback), strapagati con cachet da capogiro e ottenendo quell’impatto promozionale assolutamente considerevole, che sta alla base della vendita del loro prodotto (disco, tournée o quant’altro). Nel prossimo numero il seguito di questa – credo – interessante ricostruzione.
RadiocorriereTV n° 12 20/3/01