di Don Backy
Seconda “puntata” sul dilettante e su quanto sia vera la prima ispirazione
Eccomi qua – puntuale come la domenica (che arriva sempre in fondo alla settimana) – a parlarvi ancora del perché io ritenga (in special modo nel campo dell’arte), che la condizione del dilettante sia di gran lunga la più vera, onesta e sincera, si possa attraversare, nell’arco di una carriera svolta da professionista. E adesso vado a spiegarvi i teorici perché. Il dilettante è la fase in cui l’artista in embrione è invaso dal sacro fuoco della passione. Egli la sente intimamente come una forza propulsiva che lo spinge, lo costringe ad affrontare pene e disagi di ogni genere, delusioni cocenti, frizzi , lazzi – anche feroci – di gente che non crede ce la possa fare e che – in questo senso – la maggior parte delle volte lo ostacola (con motivazioni anche ragionate), anziché aiutarlo. Il tutto assorbito in maniera assolutamente naturale dal nostro eroe, valendo la pena di combattere la battaglia contro tutto e tutti. Egli è disposto a gettare il cuore al di là di qualsiasi ostacolo gli si possa parare innanzi, soltanto per nutrire quel sogno, che avverte come l’unica meta possibile da raggiungere nella vita. In questo senso, io definisco quella fase, della purezza degli ideali. Almeno fino a quando egli non arriva a varcare la soglia dell’Empireo. Dopodiché, cambia tutto. Le strade dei due (il dilettante e il professionista) si dividono. Una vera e propria rivoluzione copernicana. Con l’entusiasmo gioioso – eredità ancora non spesa del dilettante – che ancora lo pervade, l’artista riverserà nel primo lavoro prodotto (quasi un’operazione catartica eseguita anche con rabbia, come a voler dire: adesso vi faccio vedere io chi stavate per perdere), tutto quanto di buono ha accumulato in precedenza in fatto di creatività. Non a caso, il primo lavoro di un creativo risulterà sempre il migliore (almeno per quel che riguarda le caratteristiche essenziali, che sono la fantasia, lo slancio , l’originalità). In seguito, il professionista (mestierante) prenderà il sopravvento. Ecco allora che tutto si diluirà nell’applicazione di tecniche – anche psicologiche – che la frequentazione con la nuova esperienza gli metterà a disposizione. Grazie a questo, magari migliorerà anche, ma lo farà cominciando a servirsi di schemi mentali troppo razionali e quindi freddi. Per cui, laddove era tutto un istinto, uno slancio, una predisposizione al sacrificio e all’entusiasmo, ecco subentrare esigenze impensabile fino a quel momento. Io però ritengo che quando un’opera non è attraversata dall’istintiva passione di chi la crea, il risultato sarà sempre di plastica e in essa non si avvertirà il soggetto, ma semplicemente l’oggetto che – in quanto tale – non resisterà al tempo. Troppo facile dirvi che le conclusioni le tirerò alla prossima puntata. Non mancate.
RadiocorriereTV n° 20 15/5/01