di Don Backy
Che differenza c’è tra i ragazzi dei ’60 e quelli di oggi? Bella domanda!
Mi capita talvolta – durante una qualche intervista (stampa, radiofonica, o altro) – di sentirmi porre la fatidica domanda sulla differenza tra noi ragazzi (cantanti) dei’60 e le nuove generazioni di artisti del canto. Mi tocca – in questi casi – essere sempre un po’ troppo sbrigativo nelle risposte – per brevità di tempo o di spazio – e la cosa finisce sempre per lasciarmi insoddisfatto. Approfittando di questa mia ” rubrichetta”, mi proverò ad essere più sbrigativo possibile. E lo farò mettendo in parallelo le differenze. Avrete certamente fatto caso ai cantanti dell’ultima generazione. E comunque ai nuovi artisti in generale. Sono straordinari, per l’apparente (?) assenza di qualsiasi timore reverenziale nei confronti del pubblico. A volte sono quasi portato a pensare che siano fatti di plastica. Androidi costruiti senza quella particolare scatola dove battono le emozioni. Per quel che mi riguarda, mi ritrovo poche volte a seguire le esibizioni canore dei nuovi divi. Non è per snobismo, lo sapete, io sono legato a cantanti e canzoni di un’altra epoca e – siccome rispetto i gusti di tutti – spero di veder rispettati anche i miei. Dunque, dicevo che non seguo – in generale – manifestazioni televisive dove si canta, ma qualche volta mi è pur capitato – vuoi anche di sfuggita – di sfuggita – di assistervi, magari sostando solo qualche attimo. Ogni volta che questo è accaduto, è stato perché sullo schermo era apparsa una cantante o un cantante, che si accingeva a esibirsi e – ogni volta – sono rimasto impressionato dalla assoluta sicurezza che emana costei/ui, disponendosi ad affrontare la platea. Alla presentazione, ecco che arriva: passo deciso, ben piantato in terra nel suo compasso di circa un metro, espressione e sorriso stereotipato n° 12 alla maniera di “… Ci siete o non ci siete, per me è lo stesso…” quindi – strappato quasi il microfono – senza nemmeno un attimo di concentrazione, di raccoglimento – che lasciasse intendere un minimo di emozione – alla partenza della base (orchestra o quant’altro), inizia a deambulare per il palco da destra a sinistra (senza che ce ne fosse una ragione precisa ), cadenzando i passi sul ritmo battente, ostentando una spocchiosa sicumara da vecchia ciabatta da night. La voce – solitamente ben intonata e potente – pur senza possedere una spiccata personalità, attenta più a cercare di somigliare a qualche idolo nero che va per la maggiore, piuttosto che a cercare di trasfondere – al pubblico che gli sta davanti ( tivvù o platea) – attraverso quelle note e quelle parole, le emozioni che sta provando 8 ammesso chele trovi, appunto). Il seguito al prossimo numero.
RadiocorriereTV n° 37 12/9/00