di Don Backy
Sembra possibile una definizione: ma vanno fatte alcune distinzioni
Dallo scorso numero, sto cercando di fare un pò di chiarezza nei miei pensieri, sperando di riuscire a capire se – tutto sommato – posso fregiarmi del titolo di Cantautore ( sperando che il mio ragionamento – un pò strampalato – sia di un qualche interesse anche per voi). Oggi – quindi – ancora mi chiedo: Ma che diavolo significa “Cantautore” ? Il termine forse suggerito dai grandi francesi (Brel, Brassens, Aznavour, Becaud, ecc…), i quali potevano anche scrivere in versi delle vere e proprie invettive contro il potere ( e forse ne avevano validi motivi), ma – sostanzialmente – le loro canzoni erano vere e proprie odi all’amore. Verso la fine degli anni ’50 – con un senso molto più ampio di quello che oggi gli viene attribuito – il termine fu usato anche da noi ( Nanni Ricordi docet), per definire una schiera di giovani talenti ( Modugno, Bindi, Paoli, Endrigo, Tenco, Fidenco, Meccia, Donaggio, Gaber, e-se permettete- mi ci metto anch’io), che – rompendo l’egemonia dei vecchi autori ( legati a schemi e linguaggi ormai obsoleti) – presero a usarne uno più confacente ai tempi e alle loro esigenze, iniziando a raccontare – attraverso le canzoni – i sentimenti provati in prima persona. Fu automatico quindi che ne affidassero a sé stessi, anche l’interpretazione. Di qua, il logico appellativo di Cantautore. Credo di averlo meritato anch’io, perché fin da subito (1960) – percependo la stessa esigenza – produssi storie di vita vissuta, storie sociali o dai concetti spirituali (La storia di Frankie Ballan, Sabato triste, Pregherò, Tu vedrai ecc.) piuttosto inusuali al tempo. In seguito mi dilettai, divertendomi con cover americane e quindi (a mio giudizio), inquinandomi, perché – per quel che mi riguarda – il purista è certo che Cantautore non significhi altro che qualcuno che canta e scrive le sue canzoni. Di qualsiasi argomento trattino. Fu nel 1965 – quindi – che avvertii l’assoluta necessità di cantare esclusivamente canzoni scritte da me. Parole e musica (di questo percorso personale, vi ho raccontato nei precedenti articoli). Vado quindi avanti per linee generali: Ora: Io penso che quei cantautori (Paoli, Bindi, Gaber ecc.) – chi più, chi meno – avessero fin da quel tempo le loro idee politiche, ma che fossero certamente più impegnati a far canzoni, piuttosto che cervellotici e quasi sempre inutili, pensosi comizi (buoni soprattutto per ottenere prebende, recensioni dotte con le quali impressionare l’inclita). Dal momento quindi, che essi esprimevano un ventaglio eterogeneo di idee, sensazioni, vibrazioni, emozioni (e quant’altro avesse sapore di popolaresco), attraverso le loro canzoni piene di odori, di sapori, di colori, io li chiamerò: Cantautori dell’arcobaleno. Concluderò- come d’abitudine – nella nuova puntata.
RadiocorriereTV n° 50 12/12/00