di Don Backy
Con la riscoperta degli anni ’60 torna il fascino di una cultura tra Jack Kerouac e i Beatles
Voglio svelarvi il mio pensiero sul periodo Beat, vissuto in Italia per buona parte degli anni Sessanta, e che – pare – oggi rivive un momento di grande interesse, specie per le giovani generazioni che si appassionano alla nostra storia della musica leggera. E’ stato piuttosto facile, dal momento che un grande ripasso di quel periodo mi si è reso necessario recentemente, dato che il secondo libro da me scritto (nella trilogia Memorie di un Juke box) si intitola proprio Beat e comprende il lasso di tempo che va dal 1962 al 1965, periodo in cui in Italia si è affermato soprattutto come genere musicale. Intanto, sia pure in maniera spicciola , cercherò di fare un pò di etimologia sulle origini di questo termine che ha caratterizzato un’epoca. Non sono il solo a sostenerlo: il termine “beat” sembra derivare dai beatnik americani – giovani un pò anarchici, asociali, amanti del jazz, poeti e vagabondi, su treni merci o in autostop – i quali diedero vita tra San Francisco e il Greenwich Village di New York a quella beat generation resa famosa da Jack Kerouac e da suo romanzo Sulla strada. Se così fosse, il termine potrebbe essere stato abbinato al periodo musicale preso in esame piuttosto impropriamente. Altri sostengono che in Europa la parola “beat” volesse far riferimento a quel tipo di musica battente, giunta verso i primi anni ’60 dall’Inghilterra sulle note delle canzoni dei Beatles e forse risalente al loro nome. Anche da noi ,quindi, il Beat diede origine ai beatnik, in una confusa mescolanza di riferimenti storici, il nostro apporto a quel periodo è scarso e non incisivo, ma per esaminare le varie ragioni vi do appuntamento sul prossimo numero del Radiocorriere TV, dove analizzerò ciò che è, in qualche modo, il nostro DNA musicale.
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